La meridiana al centro della sala segna lo scorrere del tempo, accompagnandoci alla scoperta delle abitudini alimentari degli antichi Ercolanesi, tra pasti frugali consumati in strada e sontuosi banchetti nelle ricche dimore. Come oggi, la giornata era scandita da tre pasti principali: una colazione leggera, un pranzo veloce consumato solitamente fuori casa e una cena più ricca, che nelle abitazioni più lussuose si trasformava talvolta in sontuoso banchetto.

Il primo pasto era lo jentaculum, la prima colazione, consumata tra la terza e la quarta ora del giorno (circa le 8-9 del mattino). Poteva essere frugale, con un bicchiere di latte di capra o acqua aromatizzata, accompagnato da pane intinto nel vino o in una salsa d’aglio. I più agiati economicamente arricchivano il primo pasto con frutta secca, olive, formaggi, uova e persino carne, segno distintivo di uno status sociale elevato.

A mezzogiorno, verso la sesta o settima ora, si consumava il prandium, un pasto rapido e spesso freddo. La maggior parte della popolazione lo gustava per strada, presso le tabernae o popinae, locali affollati e vivaci simili ai moderni fast food, dove si servivano verdure, pesce, legumi, funghi e formaggi. Era un pasto spartano, consumato per lo più in piedi, senza fronzoli né formalità, mentre chi poteva trovava posto a sedere su semplici panche e tavoli.

Ma era la cena il vero momento della convivialità e dello sfarzo, soprattutto nelle case più ricche, dove nei triclini (sale da pranzo)illuminati dalla luce calda di candelabri e lucerne, gli invitati prendevano parte a sontuosi banchetti. La cena iniziava normalmente verso le 3 o le 4 del pomeriggio, per concludersi al calar del sole per prolungarsi in occasioni speciali fino a notte fonda. Gli ospiti, adagiati su letti disposti a ferro di cavallo attorno a una tavola imbandita, si abbandonavano a una raffinata successione di portate servite da schiavi attenti a ogni dettaglio.

La cena si apriva con gli antipasti (gustatio), dove uova, olive, crostacei e salse speziate erano accompagnati dal mulsum, un vino dolcificato con miele. Seguivano le portate principali (primae mensae), che potevano includere arrosti elaborati, polpette speziate e torte di acciughe fritte, per poi concludersi con i dolci e la frutta (secundae mensae), tra fichi, datteri e dolci a base di miele e frutta secca.

L’atmosfera dei banchetti era arricchita da musiche, danze e spettacoli di giocolieri, mentre al centro della tavola poteva campeggiare un oggetto enigmatico e suggestivo: la larva convivialis, uno scheletro in miniatura realizzato in bronzo o in argento, un memento mori che ammoniva gli ospiti sulla fugacità della vita. Questo piccolo simulacro, lungi dall’essere lugubre, era un invito, nello spirito del filosofo greco Epicuro, a godere dei piaceri dell’esistenza: carpe diem, poiché la vita è breve e va vissuta intensamente, assaporando ogni boccone con gratitudine e ogni momento con gioia.

Sulle mense arrivavano piatti in ceramica, argento, brocche in bronzo o vetro, utensili vari, la cui qualità riflette le differenti possibilità economiche dei cittadini di Ercolano.

Questa sala ci racconta momenti di vita quotidiana, svelando le differenze tra le abitudini alimentari dei ricchi e dei poveri. Osservando le fotografie moderne sulle pareti, possiamo riflettere su come, pur nel passare dei secoli, il piacere della condivisione a tavola sia rimasto immutato: il caffè del mattino, una pausa veloce, la cena a casa in famiglia o con gli amici in strada. Così come gli antichi Ercolanesi, anche noi continuiamo a celebrare il cibo come un rituale sociale, un’occasione per stare insieme e godere della vita.