La prima operazione fondamentale per la panificazione era la molitura del grano con macine di pietra a cui seguiva la setacciatura, separazione della farina dalla crusca. Nonostante siano attestati numerosi panifici pubblici all’interno delle città vesuviane, si continuava a preparare il pane tra le mura domestiche, come testimoniato dal rinvenimento di numerose piccole macine fatte per essere adoperate manualmente.
Con le macine domestiche si otteneva una macinazione poco fine, con un tipo di farina ricca di elementi contaminanti come i granuli silicei rilasciati dall’abrasione degli elementi in pietra lavica. Analisi condotte sui resti di pane rinvenuto a Ercolano hanno dimostrato che tali elementi silicei erano presenti nel preparato, e che di conseguenza era assunto dagli abitanti, così come documentato dalla notevole usura dentaria riscontrata sugli scheletri degli abitanti rifugiatisi nei fornici sulla spiaggia.
L’esemplare qui esposto è stato rinvenuto nella Casa del Genio, un edificio in gran parte esplorato tra il 1828 e il 1850, situato lungo il Cardo III.
La struttura è composta da una base cilindrica fissa, detta meta, la cui sommità è sagomata a forma di cono. Su di essa poggia un secondo blocco cilindrico, chiamato catillus, scavato al centro in modo da formare un doppio cono con i vertici opposti: uno rivolto verso il basso e l’altro verso l’alto. Un perno centrale ne assicurava la rotazione, mentre fori laterali sulla superficie esterna del catillus consentivano l’inserimento di una barra per agevolarne il movimento. Il cereale da macinare veniva versato nella parte superiore e, una volta ridotto in farina, fuoriusciva dall’incavo tra i due elementi.